Ho voluto aspettare per commentare ciò
che è successo mercoledì al Senato, anche per cercare di analizzare a mente
fredda il nuovo scenario politico che si è creato con il voto di fiducia al
governo Letta.
E
lo faccio oggi anche se ciò che è successo ieri a Lampedusa imporrebbe di
affrontare ben altre questioni molto più rilevanti.
Ciò
che è successo mercoledì è senza dubbio una chiara vittoria del duo
Letta&Napolitano.
Non
è un mistero che questo governo sia nato contro la volontà della maggioranza
dei militanti e degli elettori del PD dopo due mesi di sbandamento (da febbraio
ad aprile di quest’anno) e con un regista (Napolitano) che, almeno fino ad
oggi, ha ottenuto ciò per cui aveva deciso di accettare un secondo mandato
presidenziale: la nascita di un governo delle larghe intese, nonostante i
malumori ben evidenti e nonostante l’ingombrante presenza di Berlusconi. Un
governo a tempo, ma non di scopo, con un orizzonte temporale di almeno 18 mesi
che, nelle intenzioni del Capo dello Stato, avrebbe dovuto riformare la seconda
parte della nostra Costituzione, varare alcune riforme socio-economiche
fondamentali e cambiare la legge elettorale. Un tempo sufficiente a scavalcare
il 2014, non solo per dare una certa stabilità all’Italia che rimane agli occhi
della comunità internazionale un sorvegliato speciale, ma anche per affrontare
con serenità il voto europeo del prossimo anno (che diventerà strategico) e affrontare
con un governo nella pienezza delle sue funzioni il semestre di Presidenza EU dell’Italia.
E
le dichiarazioni rilasciate dal Presidente Napolitano prima che scoppiasse la
crisi erano indirizzate a stoppare Berlusconi e i suoi falchi (soprattutto in
merito alla famosa “agibilità politica del Cavaliere”) e contemporaneamente a
mantenere ben saldo questo governo che doveva facilitare, aiutare lo strappo tra
estremisti e moderati all'interno del PdL (come in effetti poi puntualmente si
è verificato).
Ora
io sono sempre stato convinto che a febbraio abbiamo perso un’occasione storica
per battere definitivamente Berlusconi e per proporre realmente agli italiani
un vero e proprio governo del cambiamento, ma il risultato elettorale, negativo
sia a livello nazionale sia a livello locale, avrebbe dovuto indurci ad una
seria analisi delle ragioni di quella storica sconfitta ed invece ciò non è
avvenuto. Anzi, le incertezze e le ambiguità nel cercare di formare un governo
del cambiamento prima, di minoranza poi e oltre alle traumatiche votazioni sul
Presidente della repubblica hanno inciso pesantemente sul nostro partito.
Io
credo davvero che mercoledì si sia scritta un’altra pagina sulla fine della
c.d. Seconda Repubblica italiana il cui declino è iniziato quel 14 dicembre
2012, quando il Governo Berlusconi ottenne la fiducia alla Camera per soli 3
voti dopo che nel 2008 vinse con una maggioranza quasi “bulgara”.
Ora
Letta a di fronte a se un orizzonte temporale sufficiente per impostare alcune
riforme urgenti con la consapevolezza che la parte più “estremista” del PdL non
è più determinate per le sorti del governo, indipendentemente dalla nascita o
meno di gruppi autonomi (il cui verificarsi è legato essenzialmente al
percepimento dei rimborsi elettorali del PdL). E ciò non potrà che portare ad
una azione di governo più lineare e nella quale il PD ha il diritto e il dovere
di dettare l’agenda (avendo la maggioranza alla Camera) e potendo così
correggere le storture dell’abolizione dell’IMU (magari reintroducendoli sui
redditi più alti e esentando davvero il ceto medio dal pagamento dell’imposta).
Si
è sostenuto da più parti che sono i post democristiani ad aver vinto e si
prospetterebbe una nuova “DC” che ci porterebbe dritti nella terza Repubblica
riesumando un sistema elettorale proporzionale per un salto indietro di 20
anni.
Nulla
di più sbagliato.
Il voto di mercoledì dimostra che l’era "berlusconiana" è ormai tramontata ma la sua influenza ha condizionato la nostra
società fin nel profondo, mutandone abitudini e consumi, soprattutto in ambito
politico. Mi riesce davvero difficile ipotizzare il ritorno ad una politica parlamentare
pura come c’era nella prima repubblica, non solo perché coloro che oggi guidano
il governo sono figli di questo ventennio (molti di loro non erano in parlamento
durante gli ultimi anni della Prima repubblica) ed hanno comunque assimilato
uno schema bipolare anche se diverso da quello visto fino ad oggi, ma soprattutto per un motivo ben più profondo.
Ormai
gli italiani hanno assimilato uno schema maggioritario e presidenzialista che è
ben rappresentato dalle elezioni comunali, provinciali e regionali (con la
notevole eccezione della nostra Regione e della Provincia autonoma di Bolzano)
nella quali si vota direttamente il Sindaco, il Presidente di Provincia e il
Presidente di Regione. In quest’ultimo caso peraltro, la stessa locuzione con cui
ci si riferisce ai Presidenti (Governatori) ben sintetizza il cambiamento
profondo che hanno subito le nostre istituzioni locali. Cambiamento che non potrà
che riflettersi anche a livello nazionale con la necessaria modifica della Costituzione
per codificare una sorta di elezione diretta del Presidente del Consiglio (come
previsto nella bozza dei Saggi). Una riforma che di fatto abbiamo già
conosciuto con il Porecellum dove l’indicazione del Premier non pone dubbi
circa il soggetto che, in caso di vittoria, guiderà il governo.
Per
questi motivi io non credo che ci sarà una spinta a tornare indietro, ma semmai
ad andare avanti e questa spinta sarà ancora più forte dopo l’elezione del
nuovo Segretario del PD, chiunque esso sia, poiché gli aspiranti candidati
attualmente in corsa, pur con le loro differenze, sono ormai effettivamente dei
nativi democratici. Nell'arco dell’ultimo anno si è verificato un effettivo ricambio
generazionale nella politica.
Questo voto ha un impatto anche per la Valle d’Aosta? Io credo di si.
Le
ultime elezioni regionali ci hanno consegnato un Consiglio sostanzialmente
spaccato a metà e la riforma elettorale del 2007 ha mostrato tutta la sua
fragilità: l’introduzione del premio di maggioranza e delle coalizioni
preventive ha polarizzato il voto senza trasformare il nostro sistema in maggioritario/presidenziale.
Di fatto il premio di maggioranza non è scattato ma l’illusione di avere un
sistema bipolare sta bloccando la politica regionale. I due blocchi si contendono i voti
fino all'ultimo e i "ribaltoni" o "controribaltoni" si giocano su pochi consiglieri
che possono fare la differenza. Da questo punto di vista era meglio un sistema
proporzionale come quello previgente: un risultato del genere avrebbe indotto
le forze politiche a cercare una maggioranza più stabile e più ampia dell’attuale.
Lo
scenario di crisi che ancora viviamo in Italia si sta rivelando in tutta la sua
drammaticità anche in Valle d’Aosta. Tra la fine di quest’anno e il prossimo
anno saremo tutti chiamati a fare delle scelte dolorosissime perché il “sistema
Valle d’Aosta”, così come lo abbiamo conosciuto, non sta più in piedi e, allo stato attuale nessuno dei due blocchi ha la forza
politica e numerica per imporre una visione strategica per la Valle d’Aosta del
2030.
Credo
quindi che anche qui da noi, come è avvenuto in Italia, si debba lavorare per
emarginare gli "elementi di polarizzazione dello scontro politico", si debbano
superare delle logiche di crescita economica stile "anni ’80", si debba puntare sui volti nuovi e sulle
persone che hanno una visione di prospettiva e si debba lavorare per imboccare una
via diversa per un “nuovo sistema Valle d’Aosta”, in cui l’iniziativa privata
sia sostenuta e valorizzata, in cui il necessario raccordo con l’area del
canavese ci deve portare ad una nuova economia distrettuale che dia uno
sviluppo alla nostra bassa valle, in cui il nostro walfare deve essere salvaguardato
perché un fiore all'occhiello ma deve essere riformato, in cui la Regione, pian
piano, esce da tutta una serie di settori non strategici per concentrarsi
invece prevalentemente sul sociale e sull'istruzione che sono i veri obiettivi di chi ha
a cuore tutta la popolazione, il ceto medio che soffre e la crescente povertà che dilaga anche nella nostra Regione.
E
in questa prospettiva il PDVdA può giocare un ruolo centrale se saprà mettersi
al centro di questo processo di cambiamento, senza preconcetti, e aprendo un
canale di dialogo con il "nostro" Presidente del Consiglio, soprattutto in questa
fase di possibile modifica della Costituzione: occorre lavorare non solo per il
principio dell’intesa (che, seppur importante, da solo non riempie la nostra
autonomia), ma in generale per un ripensamento in chiave europea del nostro
Statuto Speciale partendo dalla modifica urgente della legge elettorale e da un
diverso assetto di poteri regionali.
Nessun commento:
Posta un commento